lunedì 12 marzo 2012

Intervista di NOIR ITALIANO



Noir Italiano prende un calice di vino con il trevigiano Alessandro Bastasi, scrittore noir di vicende intricate e originali, che mostrano il volto noir del famigerato e tanto decantato Nordest. Un luogo dove immigrazione, indifferenza e affari loschi sembrano andare a braccetto. Per noi di Noir Italiano è un onore averlo ospite nel blog.
Noir Italiano: Ciao Alessandro e benvenuto. Io prendo un calice di Amarone, che non fa mai male, tu?
Alessandro Bastasi:  Io ci vado piano col vino, ma un calice di prosecco di Valdobbiadene non si rifiuta mai.
NI: Cosa significa per te noir?
AB: Potrei rispondere con una frase di Loriano Macchiavelli: il giallo e il noir sono la stessa cosa, “solo che nel noir sono tutti più tristi”. Ma è una battuta. In realtà “noir” è un termine inflazionato. Noir vuol dire “nero”. Semplicemente. Il nero che c’è in te, nella profondità del tuo essere, e attorno a te, nella società. E il nero dell’inconscio, personale e collettivo. E’ questo che racconta il noir. Non “chi” ma “perché”. Un nero però, per ciò che mi riguarda, non generico, o fantastico, o fine a se stesso, ma legato a filo doppio a un preciso contesto. Personale, sociale, culturale, politico. Legato a un preciso territorio. Che respira nel romanzo assieme ai personaggi in carne e ossa. Un respiro nero che inquieta, e ti fa riflettere. Ma poi, ha più senso la classificazione di genere? “Delitto e castigo” di Dostoevskij non è forse il più grande noir della letteratura?
NI: Ho letto il lato oscuro del Nordest attraverso i romanzi di Carlotto. Anche tu ambienti i tuoi libri nel trevigiano. Cosa rende il Veneto una terra così noir?
AB: Il conformismo e l’ipocrisia che attraversano una parte non piccola di quella terra. Il primato dell’”apparire” e dell’”avere” sull’”essere”. La chiusura mentale nei confronti del “diverso”. L’individualismo di fondo, retaggio di una cultura contadina di antica data. Un paesaggio ideale per una storia noir.
NI: Quando scrivi hai in mente l’intera vicenda o ti lasci condurre dalla scrittura?
AB: Ho in mente i capisaldi della vicenda: che cosa voglio raccontare, come si svolge il delitto, chi è l’assassino e perché uccide, la struttura del romanzo. Poi sono i personaggi stessi a suggerirmi certi snodi narrativi, e io mi lascio abbastanza guidare da loro. Per questo viaggio con un moleskine sempre a disposizione. Per prendere appunti quando questi suggerimenti si manifestano. Magari sono in macchina, e sono costretto a fermarmi per fissare sulla carta un’idea. E va fissata subito, altrimenti scappa via.
NI: Per uno scrittore già è difficile pubblicare un libro, figurarsi mantenere le aspettative con una seconda opera. Cosa consigli a un autore che tema di non riuscire a bissare lo standard del suo romanzo d’esordio? 
AB: Innanzi tutto di non avere questo tipo di timore. In realtà non ho consigli da dare, non ne ho l’autorità né l’esperienza. L’unico invito è quello di mantenersi comunque fedeli a se stessi, senza cedere a condizionamenti esterni o alle mode del momento.
NI: La tua musica per scrivere? 
AB: La musica del silenzio. Nel senso che devo “sentire” il ritmo di quello che sto scrivendo, spesso leggendo ad alta voce quello che ho scritto. La musica sarebbe un disturbo. Se proprio devo farmi accompagnare da una voce, quella di Tom Waits è l’ideale.
NI: Come osservi la realtà che ti circonda? Parti da situazioni reali oppure dici “vorrei scrivere una storia che parli di…” e poi ti documenti?  
AB: Di solito parto da una situazione reale che mi suggerisce l’argomento sul quale imperniare la storia. Dopo di che mi documento, anche de visu. Soprattutto per i particolari. Sono i particolari, infatti, a rendere credibile una storia inventata, a darle spessore. Per questo devi scrivere di cose che conosci.
NI: Quanto tempo a settimana dedichi in media alla scrittura? 
AB: Tento di scrivere almeno un paio di ore al giorno, ma non sempre mi è possibile.
NI: Ti ringrazio. Regalaci una frase noir.
AB: La prendo in prestito da Andrea Pinketts, perché mi piace molto: il noir è il puzzo di fumo in un vicolo che odora di vita. E’ l’odore della nostra coscienza.

lunedì 5 marzo 2012

Recensione di Francesca BATTISTELLA, autrice di "Re di bastoni, in piedi" Scrittura & Scritture Editore

Bello e complesso, “Città contro” di Alessandro Bastasi affronta con coraggio e senza peli sulla lingua il tema del difficile rapporto fra immigrati extra-comunitari e cittadini italiani. Il setting è la città di Treviso e la Marca. Protagonisti un professore di filosofia in pensione, Alberto Sartini, la sua seconda moglie Valentina, infermiera, sua sorella Giovanna, ormai avanti negli anni che si è votata anima e corpo all’aiuto e al sostegno dei migranti chiusi nello squallore dell’ex-fabbrica di S. Angelo alle porte di Treviso, il sacerdote don Vittorio e la sua ONG Opus Christi, il sostituto procuratore nonché amico di Alberto, Giancarlo Conte, il medico Paolo Candiani, il senegalese Moussa, i suoi compagni di sventura e tante altre figure minori, ma non meno importati nello sviluppo complesso della vicenda. L’omicidio di Giovanna Sartini e il successivo ritrovamento del cadavere di Moussa impiccato a un trave della sua baracca daranno inizio alla parte “gialla” della storia. Il Sostituto Procuratore Conte, aiutato da Alberto, con molta fatica e parecchi colpi di scena, riuscirà a far luce su quanto accaduto portando a galla, nel contempo, un mondo marcio e fortemente condizionato dal pregiudizio razziale.
Bastasi riesce magistralmente a destreggiarsi fra la vicenda propriamente gialla e la denuncia sociale e politica, compito arduo che poteva facilmente scadere nella piatta enunciazione di slogan triti e ritriti. Ma questo non accade mai. Anzi l’autore ci porta per mano attraverso un pezzo di Veneto che ha ormai perso da tempo le sue radici “comunitarie” per abbracciare ad occhi chiusi la difesa della “Razza Piave”. Tutti forti e ben descritti i personaggi principali e i comprimari. Giusto e ben calibrato il crescendo di rabbia del protagonista Alberto Sartini che attraverso il proprio personale racconto esce un po’ alla volta dall’iniziale apatia per arrivare, nel finale, a una sana indignazione, in questo aiutato dalla moglie Valentina, bella figura di donna dallo splendido coraggio.
Molti infine gli spunti di lettura e meditazione che il libro offre al di là della sua matrice thrillestica. Due per tutti: “Bilal” indagine/inchiesta sui viaggi e sul mondo dei migranti scritto da un giovane giornalista italiano e “Le basi morali di una società arretrata”, saggio degli anni ’50 dell’americano Banfield, per ricordarci attraverso una lettura critica del libro che il recupero di una dimensione comunitaria potrebbe aiutarci a convivere con i migranti, un’idea enunciata dallo stesso Bastasi che cita Subatoi Bashir “In Africa tutto quello che fai lo fai tenendo conto della comunità”, qualcosa che da noi è andato irrimediabilmente perduto.